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Archivi giornalieri: 29 giugno 2009

Scherzo parigino (cap. IV)

Désespoir de l'hiver parisien - Olivier Quinton

Désespoir de l’hiver parisien – Olivier Quinton (“Libération”)

IV

Non è che, all’epoca, la domenica, avessi grandi alternative: o il mercato delle pulci oppure i “bouquinistes” lungo la Senna.
Ma i libri, e in particolare quelli usati, erano capaci, a volte, di riempirmi di disgusto.
Il mercato delle pulci possedeva un che di più rassicurante.
Lì, almeno, avrei ritrovato la folla, mentre lungo la Senna mi sembrava che sfilassero soltanto individui solitari: i fanatici della letteratura, i collezionisti di libri rari e antichi, gli intellettuali, gli studiosi, i frequentatori della Biblioteca Nazionale di Parigi che, qualche tempo prima, anch’io mi ero visto costretto a frequentare.

Non è che mi piacesse particolarmente indossare vestiti usati. Non potevo fare altrimenti: non avevo i soldi per comprarmene di nuovi.
“Questi vestiti ti invecchiano”, mi ripetevano in continuazione le persone che conoscevo. E non avevano del tutto torto.
All’inizio avevo creduto di poter trovare al mercato delle pulci qualcosa che si addicesse alla mia personalità.
In realtà era successo il contrario. Erano stati quei vestiti usati a dettarmi una parte da recitare. Ero stato io a diventare quello che loro volevano che io diventassi.
Alla soddisfazione che avevo provato all’inizio quando, ad esempio, recandomi a delle feste, mi muovevo tra gli invitati con la falsa disinvoltura di chi si crede il più elegante dei presenti, illudendomi che gli altri non intuissero da che parte potessero provenire certi capi di abbigliamento (dei pantaloni neri sempre leggermente lisi, delle giacche nere con dei buchi pressoché impercettibili provocati dalle tarme, delle camice del nonno appartenute ad uno dei miei nonni che di statura e di corporatura aveva dovuto sovrastarmi di diversi centimetri, almeno a giudicare dalla fatica che facevo a rimboccarle nei panataloni), era succeduta poi la constatazione di come i soldi che avrei dovuto risparmiare in una cosa tanto frivola e superflua quanto mi era sembrato l’abbigliamento, li spendevo regolarmente in cose altrettanto frivole e superflue.

Incominciando ad aggirarmi tra le bancarelle del mercato, quella domenica a Montreuil, mi ero fatto prendere dal ricordo di una mia amica, Brigitte, frequentatrice assidua, anche lei come me, dei mercati delle pulci, alla quale avevo confessato, una volta, il fatto che provavo, tutto sommato, un certo ribrezzo a vestirmi in quel modo.
Le avevo detto che, secondo me, buona parte di quei vestiti avevano una provenienza dubbia: che erano stati rubati (negli alberghi, sui treni, negli aereoporti), che forse erano appartenuti a dei malati…
Brigitte, che possedeva un gusto molto più raffinato del mio in fatto di abbigliamento, mi aveva risposto che le mie erano paure puerili, e che, al contrario, lei si sentiva a suo agio nel “vestire l’usato”.
– E’ una sensazione piacevole, la mia. Non so come spiegarti… E’ come se sapessi che c’è qualcuno che mi sta sempre vicino.
E lo aveva detto stringendosi ancor più nei suoi abiti, sollevando delicatamente il bavero della giacca in modo che le fasciasse il collo, come se quei vestiti fossero stati capaci, in quel momento, di sprigionare e di trasmetterle un po’ di quel calore umano di cui mi era sembrato che lei avesse bisogno.

Brigitte lavorava in un albergo nel quartiere degli Champs-Elysées, dove era addetta alla reception, ma nel suo modo di atteggiarsi, al bar dove di solito ci incontravamo, vicino al Panthéon, aveva un qualcosa che avrebbe potuto giustificare in chi non l’avesse conosciuta delle ipotesi molto più lusinghiere sulla sua professione.
Pensando di farle un complimento, le avevo detto, un giorno, che assomigliava a Brigitte Bardot. Ma Brigitte aveva soltanto annuito, come se il paragone, con il quale io avevo creduto di essere stato originale, non le fosse piaciuto più di tanto. Poi mi aveva spiegato che, alla lunga, si era stancata di sentirsi paragonata alla celebre attrice, anche perché i loro rispettivi cognomi si assomigliavano molto, e molti altri prima di me avevano già avuto la stessa mia idea.

Vagavo qua e là, quella domenica a Montreuil, tra i vicoli del mercato, tentando, di tanto in tanto, di farmi largo anch’io in mezzo a dei gruppi di donne di colore indaffarate intorno a dei mucchi di vestiti e intente a strapparseli di mano.

 
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Pubblicato da su 29 giugno 2009 in Letteratura

 

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Scherzo parigino (cap. II-III)

Lanterne
Lanterne (parisdailyphoto.com)

II

Affabulazione. Sogno. Sogno di una notte d’inverno.
Adesso che ho incominciato a scrivere, continuerò sul serio.
Dovevano essere i primi di gennaio: una domenica mattina a Parigi.
A strapparmi dal sonno non erano stati tanto i gatti e i topi alle prese con le loro magagne quanto i passi felpati della mia vicina, una novantenne bretone che, proprio la domenica mattina, era solita dare una pulita oltre che alla sua mansarda, attigua alla mia, anche allo stretto corridoio che ci separava: una spolverata allo zerbino del mio ingresso e, con quel pretesto, verificava se io mi trovavo in casa.
Una bretone ai cui occhi Bretagna rimava con campagna, secondo la quale chi non era parigino era un villico o uno zotico; una bretone il cui marito era stato un grande fumatore ed era morto di una malattia ai polmoni.
Lei si sentiva rincuorata, sapendo che io ero in casa: ne aveva la certezza annusando l’aria e respirando il fumo che filtrava dall’uscio della mia mansarda.
Non potevo far finta di non esserci e sottrarmi ai convenevoli. Al colpo del bastone della sua scopa sulla porta, come al rintocco di una campana, dovevo aprire e chiederle se aveva bisogno di qualcosa: “Dello zucchero ne ha ancora?” “Vuole del pane?” “Ho una fetta di torta che non vorrei cha andasse a male”…
Non accettava mai nulla. Le bastava sapere che io mi trovavo in casa e che nel caso in cui le fosse successo qualcosa…
Dormiva di notte tranquilla, sapendo che alla mia porta poteva sempre bussare.

Jour après jour - Annie Mallégol
Jour après jour-Annie Mallégol (“Libération”)

III

Adesso che ho incominciato a scrivere, andrò fino in fondo.
L’idea di uccidere si era impadronita di me senza che me ne rendessi conto.

Avevo chiuso in modo brusco la porta in faccia alla mia vicina, seccato dal fatto che non accettasse mai nulla da me, e mi ero messo a pensare.

Ero uscito di casa.
Mi ero diretto verso la più vicina stazione della metropolitana.
Avevo deciso di recarmi al mercato delle pulci di Montreuil.

 
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Pubblicato da su 29 giugno 2009 in Letteratura

 

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